Lettera aperta di un socio sulla mostra “Le mura sono tutto” all’Archeoclub di Corinaldo

di Italo Pelinga

Gentile Sig. Presidente dell’Archeoclub di Corinaldo,

ho partecipato con molto interesse all’inaugurazione della mostra fotografica  “Le mura sono tutto” organizzata dall’ Archeoclub corinaldese, ascoltando con attenzione le parole del prof. Ciceroni, curatore della medesima mostra, e ora leggendo, con altrettanto interesse, il testo a corredo del relativo catalogo.

Il breve saggio di Ciceroni, sebbene ripercorra una storia frutto di numerosi precedenti studi e pubblicazioni di vari autori, non è privo di apporti originali e interessanti, non fosse che per l’autorevole esperienza come amministratore di questo Comune dell’autore sempre attento alla salvaguardia e valorizzazione della nostra cinta muraria.

La prego perciò di ritenere queste mie considerazioni come un ideale contributo al dibattito stimolato da quell’evento.

Credo di avere pieno titolo per farlo, non tanto per essere stato uno tra quei molti che si sono occupati dell’argomento attraverso specifiche ricerche, ma soprattutto per essere uno dei pochissimi “amici di Corinaldo” rimasti testardamente ad abitare questo centro storico quando in molti hanno invece preferito legittimamente spostarsi in amene villette fuori porta, circondate da tranquilli giardini alberati.

L’aspetto principale che caratterizza questo nostro storico monumento, ribadito con molta evidenza anche nel testo del catalogo, è la loro caratteristica necessitante per la vita stessa del centro storico fatto per secoli non solo da notevoli palazzi gentilizi ma anche da case di abitazione popolare, con le loro botteghe artigianali, le osterie, i luoghi di ritrovo, i numerosi luoghi di culto. Un ambiente abitato proprio perché… “abitabile”, dove quella che noi oggi riconosciamo come “diffusa bellezza” è stata prima di tutto il frutto di scelte talora obbligate, talora sapientemente studiate, ma sempre rivolte a rendere nel miglior modo “abitabile” questo luogo. Quindi è proprio dall’ “abitare” che ricevono giustificazione e senso queste strade, vicoli, piazze, case e naturalmente mura che, traendo la loro calda connotazione cromatica non tanto dalle scelte di progettisti ispirati artisticamente, ma dalla materia prima disponibile nei nostri territori argillosi, sono state conservate soprattutto grazie a chi le ha sempre abitate. Non a caso le mura stesse sono state “abitate” dopo che si era esaurita la loro funzione difensiva.

Certo i tempi sono molto cambiati e negli ultimi decenni lo spopolamento dei centri storici è diventata una realtà purtroppo generalizzata per mille ragioni, non ultima forse proprio la perdita di quella “abitabilità” rappresentata dalle concrete condizioni utili e necessarie alla vita quotidiana delle famiglie. Allora ecco la tentazione di trasformare questi spazi in “palcoscenici” o “musei” per un turismo più o meno occasionale: palcoscenici e musei che per la loro natura riempiono di ammirazione molti, ma che nessuno si sognerebbe mai di scegliere come residenza che non sia il fugace soggiorno in un bed & breakfast.

Questo ormai sembra essere il destino anche dei centri storici della grandi città d’arte, dove la trasformazione a misura di turista può essere molto discutibile, ma può rappresentare comunque una reale risorsa. Per i piccoli centri come il nostro il fenomeno può rischiare alla lunga di essere mortale se non si attuano politiche in controtendenza per conservare quella “abitabilità” perfino in deroga, saggiamente e normativamente controllata, ai puri e asettici canoni della “bellezza” formale , come del resto è stato in tutta la storia di questo paese.

Quindi mi trovano pienamente d’accordo le proposte di manutenzione e ripristino avanzate anche in questa circostanza dal prof. Ciceroni, purché non si ceda alla tentazione di realizzazioni fantasiose, ancorché pittoresche, come avvenuto altrove anche non troppo distante da noi e le soluzioni adottate siano comunque funzionali alla vita cittadina.

In questo contesto credo debba essere affrontato anche il tema della presenza degli alberi in piazze e viali di Corinaldo, tema che sta particolarmente a cuore al prof. Ciceroni e pure in questa occasione fortemente sottolineato.

Anche in questo sono sostanzialmente d’accordo sulla necessità di rendere maggiormente visibili alcuni tratti specifici delle mura occidentali, soprattutto il cosiddetto “sperone”, ma non sottoscriverei l’abbattimento di intere file di tigli che pure rappresentano una di quelle bellezze “vivibili e vissute” che Corinaldo possiede, ammirata molto anch’essa dai nostri ospiti.

In linea generale credo si debba procedere sempre con molta cautela all’abbattimento di alberi, soprattutto se ormai “storici”, in considerazione anche dei cambiamenti climatici in atto che d’estate possono rendere torride purtroppo anche le vie e le piazze del nostro piccolo centro. Non facciamoci prendere dalla mania “dendroclasta” che purtroppo attecchisce anche dalle nostre parti, in nome sia pure di ipotetiche ragioni estetiche che, se mai, andrebbero verificate, come dicevo, con molta attenzione. Faccio l’esempio dei lecci di Piazza Il Terreno, assediati loro sì dal cemento, per i quali si avverte la voglia di mettere mano alla sega.  Non regge il confronto, portato a giustificazione di un abbattimento generale, con la Piazza Garibaldi di Senigallia, dove pure si è fatta, è il caso di dirlo, “piazza pulita”.  In quel caso stiamo parlando di un vasto spazio su cui affacciano tra i più nobili e significativi edifici della città, che era giusto rimettere in una visione d’insieme. Da noi l’eliminazione delle piante non darebbe lo stesso risultato, mentre il disagio arrecato sarebbe notevole soprattutto per i residenti. E poi, detto con una battuta, non è normale che nel “terreno” ci siano alberi?

Le politiche turistiche in una realtà come la nostra devono convivere, anzi direi dovrebbero essere subordinate alle politiche di incentivazione abitativa del centro storico e non viceversa. Anche se, per la verità, questa sembra sempre più una battaglia persa che non tarderà a rivelarsi tale quando anche i pochi residenti rimasti saranno morti o migrati altrove.

Intanto questo tipo di interventi si presentano sicuramente impegnativi e difficoltosi, sicuramente molto più che organizzare qualche festa che ci possa dare l’illusione di aver “portato gente” a Corinaldo. Come è anche vero che il valorizzare piazze, monumenti, viali e fontane significherebbe innanzitutto rispettare regole di moderazione e decenza, perché la bellezza non sta nei fronzoli artificiosi a portata di selfie, ma nella semplicità e autenticità.

Oggi si parla tanto, giustamente, di “turismo di qualità” e per Corinaldo parliamo di turismo veicolato non solo ovviamente dal richiamo religioso, ma auspicabilmente anche da quello culturale. Lo stesso prof. Ciceroni sostiene che chi arriva a Corinaldo chiede con insistenza a noi corinaldesi “fatecele vedere!” riferito naturalmente alle mura.

Tuttavia la mia esperienza di abitante del centro storico è un po’ diversa e a me, che spesso svolgo l’involontario compito di informatore turistico, i visitatori rivolgono altre domande: in primo luogo “dove si può mangiare?” o “dove posso trovare un bar aperto?”  Molto richiesti sono anche la casa di Scuretto e il pozzo della polenta, due realtà senz’altro curiose ma dalla dubbia valenza storica, seguendo narrazioni che siamo noi corinaldesi stessi ad alimentare.

In conclusione credo che se siamo sinceri quando parliamo della bellezza di Corinaldo, delle sue mura, del suo centro storico, dobbiamo sempre tenere bene in vista il bene di chi vi abita, non per un ingiustificato privilegio, ma perché la nostra storia dimostra che le due realtà sono esistite sempre l’una in relazione all’altra. Sarà così anche per il futuro?

La ringrazio per l’attenzione e la saluto cordialmente.

                                                                                                         Italo Pelinga